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martedì 17 novembre 2015

Industriale vs. artigianale. Quando il pesce grande mangia il pesce piccolo.

La notizia rimbalzata ieri dagli States è di quelle che lasciano il segno: il colosso del vino Constellation Brands entro fine anno acquisirà Ballast Point.
Per capire il motivo di tanto rumore occorre fare un passetto indietro.
Prima di tutto si deve presentare il pesce grande, ossia la Constellation Brands, gruppo dedito principalmente al mondo del vino e degli spirits, ma già titolare delle vendite della birra messicana più famosa al mondo, la Corona Extra.
Il pesce piccolo invece è Ballast Point, birrificio craft americano certamente fra i più solidi ed interessanti. Orde di raters europei farebbero carte false per stappare la loro celeberrima Sculpin Ipa o la mastodontica imperial stout Victory At Sea.
E dopo questa notizia son convinto che orde ancora più numerose inizieranno la gara a chi trova la Ballast Point prodotta prima dell'acquisizione, "quella ovviamente più buona e diversa".

L'andazzo che si sta prendendo negli Stati Uniti è, però, davvero preoccupante, sopratutto nell'ultimo anno infatti abbiamo assistito all'acquisizione di alcuni dei birrifici artigianali più promettenti del panorama  a stelle e strisce. Mi viene in mente Firestone Walker che è passata in mano alla belga Duvel Moortgat, Elysian invece nelle mani del colosso mondiale Ab-InBev, ma anche Founders che è per il 30% del gruppo industriale spagnolo di Mahou San Miguel.




Ma cosa si cela dietro queste acquisizioni?
La birra artigianale negli USA ha un peso rilevante nel mercato generale della birra e pian piano sta rosicchiando altre fette di mercato all'industria. Come spesso accade in questi casi la strategia adottata dai grandi gruppi non è quella della guerra frontale ma dell'acquisizione del birrificio.
Un'operazione del genere infatti ha un duplice risvolto nella politica dell'acquirente: prima di tutto permette di penetrare in un mercato a lei sconosciuto e in netta espansione, e in seconda battuta le permette di avere nel proprio portafoglio un brand solido che possa competere in quella parte di mercato.
Senza voler scomodare Chan Kim e Mauborgne, appare interessante e simpatico provare a leggere questo tipo di operazioni con un occhio rivolto alla cosiddetta Blue Ocean Strategy, ideata dai due economisti.
Il mercato della birra industriale negli Stati Uniti, per quanto sia concentrato nelle mani di poche grandi aziende, ha delle linee di confine molto nette e la competitività fra gli attori si gioca quasi esclusivamente sul prezzo. E' un mercato decisamente maturo e con margini di espansione davvero risicati.
Il settore artigianale invece rappresenta un campo nuovo, dove la domanda è in forte crescita, gli attori sono relativamente pochi e la competitività si gioca su altri tavoli oltre che sulla convenienza in termini di prezzo.
Un colosso industriale che acquisisce una realtà craft entra in un oceano blu, ossia un'area nuova, quasi inesplorata e lontana dagli oceani rossi, insanguinati dall'elevata competitività fra gli attori.
Ciò che però occorre tenere a mente è che quelli che oggi sono oceani blu, domani saranno oceani rossi, dominati da elevata competitività e regole del gioco stabilite e precise.
Mi rendo pienamente conto che una lettura del genere può sembrare una forzatura ai limiti forse del fuorviante, e che magari questa non è la sede per approfondire in questi termini l'argomento, ma mi sembrava utile stuzzicare la curiosità con la visione che ho avuto io di questo fenomeno.

Voi (oltre a maledirmi per questa noiosa dissertazione di economia semplificata che vi state sorbendo) vi chiederete: ma a noi cosa interessa se negli Stati Uniti i birrifici artigianali passano nelle mani dell'industria?
Miei cari, a parte il mio rammarico per non aver provato le birre di Ballast Point pre-acquisizione, le cose in Europa non vanno mica meglio.
La storica inglese Meantime è passata (o passerà nel 2016) nelle mani di SABMiller, colosso britannico che pare abbia ceduto alle lusinghe dell'altro colosso belga-statunitense Ab-InBev per la creazione di un gruppo mostruoso. E ancora, uno dei birrifici norvegesi che io amo maggiormente, Nøgne Ø dal 2013 è passato per il 54% nelle mani di Hansa Borg Bryggerier, gruppo che ha la licenza di produrre le birre Heineken per il mercato locale.

Come dobbiamo comportarci noi appassionati quindi? Depennare via via tutti i birrifici che verranno acquisiti dall'industria per paura che la qualità possa scemare?
Difficile dare una ricetta o una formula magica, io mi limiterò a provarle e valutare se è il caso di riacquistarle o vivere di ricordi. Nel caso della Nøgne Ø ad esempio, nell'estate di quest'anno si è già verificato l'avvicendamento in sala cottura con l'abbandono dello storico birraio Kjetil Jikiun. Occorre vedere cosa cambierà in termini di ricette e birre realizzate.

E la nostra  Italia è immune da queste logiche?
A mio modesto avviso la nostra situazione può reggere qualche altro anno ancora, poi inevitabilmente qualche birrificio grosso cederà alle lusinghe, che son certo non mancheranno, dei gruppi industriali.

Voi come la pensate a riguardo?
Temete che l'industria metta le sue fredde mani sulla nostra amata birra artigianale?
Cheers!

(immagini tratte da web/instagram)


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