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venerdì 20 novembre 2015

A tu per tu con...Stefano Ricci


Secondo appuntamento con la rubrica che vi racconta la birra da un altro punto di vista, diverso da quello del consumatore appassionato!

L'ospite di "A tu per tu con... è Stefano Ricci, uno dei massimi esperti di birra artigianale che abbiamo attualmente in Italia.
Beer hunter di lungo corso, degustatore professionista di II livello Unionbirrai, giudice di svariati concorsi di homebrewing, giudice di Birra dell'Anno 2007, docente ai corsi di formazione in tema di birra, ha scritto memorabili pezzi per Il Cucchiaio d'Argento. Attualmente scrive su Vinix e sul periodico Fermento Birra Magazine. Dulcis in fundo ha un proprio blog, Lo-Fi Brews, nel quale racconta i suoi esperimenti casalinghi.
Ora basta presentazioni e scoprite cosa ci siamo detti.


Ciao Stefano, benvenuto su Diario Birroso. Raccontaci quando e come è nato il tuo amore verso la buona birra.
Io provengo dalla ridente Lomellina, terra rurale, piatta e
umida dove all’inizio degli anni ’00 grazie alla presenza di un pugno di pub all’avanguardia era possibile bere ottime birre artigianali introvabili altrove. Per chi ha iniziato da poco a bere artigianale è un mondo oggi inimmaginabile, allora quel fazzoletto di terra era il posto in Italia dove potevi bere il meglio e trovare le birre più rare, Kuaska lo battezzò “il triangolo d’oro” per la presenza di tre locali d’eccellenza. Questa fu la mia fortuna, o la mia maledizione. Come tanti ragazzi frequentavo il Thomasburau di Fiore a Garlasco, pub italiano storico, e la mia indole mi portava ogni volta a provare qualche birra differente fra le innumerevoli presenti nei frigoriferi, quasi sempre del Belgio. Venni a sapere di una degustazione di birra in un locale di Gropello, una cosa mai sentita prima, e decisi di andarci. Ricordo anche la data, 17 dicembre 2000, perché quella sera c’era il derby di Roma e un amico mi diede il pacco. Decidi di andarci comunque da solo e ovviamente quella degustazione era tenuta da un Kuaska agli albori della sua attività professionale. Qui, per citare le sue stesse parole, venni catturato e divenni “prigioniero volontario”. Scoprii poco dopo lo storico newsgroup it.hobby.birra e la prima esigua comunità di appassionati di allora, in un epoca in cui anche il web era cosa ben diversa da oggi. E ci finii dentro fino al collo.
Il tuo giudizio su birre, birrifici e birrai è da sempre estremamente competente, schietto e diretto, per questo motivo nell’ambiente sei rispettato e molto temuto. Un atteggiamento da premiare in ogni contesto della vita, ma che non sempre viene premiato in quanto spesso fa più comodo avere il parere di una persona accomodante anziché di una senza peli sulla lingua. Hai mai pensato per qualche secondo “ma chi me lo fa fare ad essere duro e puro fino alla fine?”.
Non so se io sia veramente temuto. In fondo, detta con una dose di necessario e cinico pragmatismo, smuoverò forse qualche centinaio di euro di fatturato a pub e birrifici. Nemmeno mi interessa esserlo. Non mi è mai nemmeno interessato stare simpatico, anche se qualche amico me lo sono fatto comunque. Quello a cui davvero ho sempre tenuto è essere rispettato, ed esserlo non per ragioni di amicizia o di interesse, ma per onestà e competenza. Con questo non voglio affermare di essere più competente di altri o un paladino della giustizia, ognuno di noi ha le proprie zone d’ombra, i propri limiti e anche le proprie simpatie, ma cerco sempre di esprimere il mio pensiero nella maniera più diretta possibile e cerco sempre di pensare con poco disincanto e molto senso critico. Possiedo poi una indomabile verve polemica, che può essere un vantaggio o un difetto a seconda delle situazione: personalmente, in un mondo ovattato e dominato dal garbo istituzionale più o meno interessato, credo sia un valore che qualcuno cerchi di esprimersi con pensieri a volte controcorrente esternandoli in maniera abrasiva. Ho sempre odiato il “volemose bene” che puzza di collusione o dabbenaggine. Il mio lavoro ovviamente non ha a che fare con la birra e questo mi permette una libertà che forse non avrei potuto prendermi altrimenti. Anche conoscere personalmente la maggioranza dei protagonisti di questo mondo fin dall’epoca in cui questo mondo muoveva i primi passi ha fatto in modo che io non abbia mai nutrito molto timore reverenziale verso qualcuno. Per chi inizia oggi forse sarebbe più difficile. So di persone che ricevono lamentele in privato dopo aver resa pubblica la loro opinione critica. A me non è mai successo nemmeno una volta.

Il contatore dei microbirrifici italiani ha da qualche mese sfondato il muro dei 1000, comprese anche le numerosissime beerfirm/brewfirm. Detto francamente, almeno un buon 90% sforna prodotti di qualità discutibile. Tu che hai visto nascere e crescere questo movimento in Italia, come vedi la situazione da qui a dieci anni?

È davvero difficile prevederlo. In Italia molti restano sul mercato più per passione o missione personale che per reali motivazioni di business. A volte ho la sensazione che in altri paesi, con una mentalità diversa, molti semplicemente prenderebbero atto della loro difficoltà a competere e si troverebbero un altro lavoro, magari meno impegnativo e pure più remunerativo. Riguardo alla sostenibilità del numero di birrifici e brewfirm, credo che la domanda continuerà a crescere ancora a lungo. Siamo in una fase storica di riscoperta della qualità, seppure a caro prezzo, in particolare in campo alimentare dove la gente ha voglia di cose buone, di trascorrere con più qualità il proprio tempo e di godere meglio dei piccoli piaceri, anche senza essere necessariamente degli appassionati o esperti. Le informazioni (e le mode) viaggiano a una velocità mai vista prima nella storia e la qualità ha modo di rendersi più facilmente visibile e comprensibile ai consumatori. Il vero ostacolo per molti sarà piuttosto il consolidamento e la crescita di quei birrifici che sanno fare eccellenza e sono dotati di capacità imprenditoriali, che stanno cercando e cercheranno di conquistare più spazio in un mercato in grande crescita. Penso comunque che chi è in grado di realizzare un prodotto onesto e corretto riuscirà a trovare il suo spazio, soprattutto a livello locale.
Parliamo di uno dei tasti dolenti della birra artigianale in Italia: i prezzi. Senza girarci intorno, sono decisamente elevati. A te che viaggi in lungo e in largo che effetto ti fa trovare, ad esempio, una bitter inglese in Italia al quadruplo del prezzo? Per te la causa è da ricercarsi a monte o a valle della filiera?
Credo di essere stato il primo a martellare su questo tema in Italia. E dopo tanti anni, in un certo senso, ho passato il testimone. Ha ragione Bruno Carilli (di Toccalmatto - ndr) quando dice che il prezzo lo fa il mercato ed io mi sono sempre speso per far riflettere chi la birra la acquista, perché chi la vende ovviamente fa i suoi interessi, non i miei, anche se cerco di impietosirlo. L’intento era ovviamente utopico, o culturale se vogliamo: cambiare le propensioni al consumo di una collettività è impresa irrealizzabile per un singolo. Se mi chiedi di chi sono le colpe, la risposta democristiana è quella corretta: di tutti quanti. Prima di tutto di chi è disposto a spendere certe cifre, perché costringe altri a fare altrettanto, o li taglia fuori. Poi, in maniera equidistribuita, la colpa è ovviamente di chi produce, di chi distribuisce e di chi vende. Nello sport nazionale dello scaricabarile ognuno ha interesse a difendere i propri interessi accusando altri. Naturalmente i casi andrebbero distinti singolarmente, per un pub che ti spenna e ha la fila fuori ce ne sarà uno che paga il triplo di affitto e arranca, per un birrificio che piange miseria mentre investe milioni di euro ce ne sarà un altro coi creditori che bussano alla porta. Ma che nella birra artigianale la torta sia grossa lo testimonia il fatto che anche l’industria oggi vuole infilarcisi per prendersi la sua fetta. Certo le fette non possono essere grosse proprio per tutti, ma ricordiamoci anche che lo sport nazionale è lamentarsi sempre e comunque, a prescindere dal conto in banca. Colpe enormi la ha naturalmente anche lo Stato Italiano, che carica la birra di costi diretti, come le accise che in Italia sono molto alte, e indiretti, con una burocrazia che rende fare impresa in Italia una vocazione divina più che un mestiere come tanti altri.
Tu bevi birra, ne parli al bancone, ne scrivi sui periodici e la insegni ai corsi di formazione, ma te la produci anche. Ma nella vita ti occupi di altro. A mio modesto avviso per il movimento italiano e per l’appassionato sarebbe meglio avere un birrificio con Stefano Ricci dietro che cento guidati dai signori Pincopallino. Tu hai mai pensato di mollare tutto e buttarti a capofitto nella tua passione?
Ci ho pensato moltissime volte. Ma per fare impresa bisogna prima di tutto essere “animal spirits” e francamente non credo di esserne mai stato un esemplare finora. Bisogna poi anche avere un bel po’ di denaro se vuoi fare le cose bene, oggi non è pensabile partire da amatori né mi divertirebbe, e non sono certo figlio di qualche dinastia di benestanti. Devo anche dire che il lavoro che faccio è frutto di competenze e di anni di impegno in altri campi che mi vengono remunerati e mi permettono di condurre una vita soddisfacente, un “asset” che non liquiderei mai a cuor leggero. Detto questo, ho un progettino che mi frulla in testa da tempo e che incastrerebbe alla perfezione passioni e vincoli, ma non saprei dirti se riuscirò mai a realizzarlo. Non dipende solo da me. In ogni caso per me scrittura e docenza nel mondo della birra sono attività professionale, per quanto marginale, e mi danno molta soddisfazione, anche se non credo potrei mai camparci.
Qual è lo stile di birra che preferisci e la tua birra preferita?
Non esiste e non può esistere un mio stile di birra e una birra preferita. Potrei dirti piuttosto quali sono gli stili che non amo, e sono pochi. La bellezza nella birra sta nella libertà e nelle differenze ed io non pongo certo limiti al piacere. Naturalmente, a seconda dei periodi, posso prediligere qualcosa rispetto ad altro. Ma più che lo stile, prediligo la bontà stessa della birra che ho deciso di bere. Un nome comunque te lo faccio: Stille Nacht. Nessuno come De Dolle quando è al massimo della forma sa tirare fuori quella complessità da un lievito e da una birra.
Qualcuno dice che non è Natale senza Stille Nacht, ed è proprio vero, è una birra memorabile!
Di tutti i birrifici nati negli ultimi due anni dimmi tre nomi, divisi per nord-centro-sud, su cui scommetteresti.
Sono delle scommesse facili perché il successo lo stanno già incontrando: Hammer, per il Nord, e Vento Forte, per il Centro. Sul Sud mi metti in difficoltà, perché raramente ho modo di trovarne, men che meno di nuovi. Ti dico Ebers, di cui ho assaggiato buone cose e sono ambiziosi, e Yblon, ho assaggiato una sua birra, conosco la serietà del birraio ed è soprattutto un augurio.
Penultima domanda. Un bevitore storico di industriali ti chiede: “perché dovrei provare birra artigianale?” Cosa gli rispondi?
Perché costa come una birra industriale (al pub) e se la sai scegliere è qualche milione di volte più buona. E allora, per quale motivo bere peggio se si può bere meglio?
Direi che con questa domanda retorica riusciresti a convincere anche il più duro dei bevitori industriali seriali. 
Siamo giunti alla fine, ma prima toglimi una curiosità: sul tuo account twitter ti autodefinisci simpaticamente “il Maurizio Merli della birra”, come mai?
Io sono un iconoclasta, mi prendo contemporaneamente molto sul serio ma anche pochissimo sul serio, bisogna sempre sdrammatizzare. Anni fa feci una polemica furibonda con un blogger che alla fine è ovviamente diventato mio amico.
Aveva scritto un post annunciando una “novità” vecchia di dieci anni, glielo feci notare e non la prese bene, così lo tartassai senza pietà per mesi. Lui prese a chiamarmi lo Sceriffo, per questa mia indole di giustiziare chi sul web scrive scorrettezze. Mi piacque questa definizione, la feci mia e la adottai per il nick su Twitter. Dovendo scegliere un avatar, pensai a qualcosa di italiano che si potesse avvicinare all’idea dello sceriffo spietato che proviene da certi western americani e mi venne in mente Maurizio Merli, idolo del poliziottesco all’italiana, un commissario reazionario e inflessibile, tutto d’un pezzo, che riempie di cazzotti o di piombo il delinquente di turno. Spero si colga l’auto-satira…
Ma certo, si coglie facilmente, non preoccuparti :-P
Grazie mille a Stefano per avermi concesso questa chiacchierata virtuale, certo che la prossima sarà davanti ad una buona birra.
Cheers!

(immagini tratte dal web)

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