Molti dei birrifici stranieri era la prima volta che si affacciavano nel panorama del Bel Paese, per molti altri invece era la mia prima volta, nel senso che avevo bevuto le loro birre soltanto in bottiglia.
Bella occasione quindi. Nella mia road map iniziale avevo messo almeno un esponente per ogni scena brassicola presente, fatta eccezione per gli USA, per i quali mi sono concesso gli assaggi di tutti e tre i birrifici.
Ma veniamo al sodo e partiamo proprio da loro.

Stillwater è uno dei birrai gipsy più famosi, vi parlai di lui già in questa occasione. Di recente le sue birre in bottiglia arrivano con una certa frequenza in Italia e piano piano ho avuto modo di provarne diverse. Ovviamente a Roma mi sono concentrato su birre che non conoscevo, nello specifico la Stereo, una IPA da 7° con punte resinose in grande evidenza.
Di Oxbow conoscevo bene la Grizacca, sono stato quindi incuriosito dalla Bowie, una particolare interpretazione delle grisette, strettissime parenti delle saison. Lievemente affumicata con una buona secchezza l'ho trovata dissetante e particolare.
Non è stato tutto rose e fiori e qualche brutta sorpresa è ovviamente capitata. La Mooie Nel IPA dell'olandese Jopen non mi è affatto piaciuta, presentando un amaro per nulla gradevole.
Dopo i primi incontri non entusiasmanti generalmente ai festival evito di bissare il birrificio perchè va bene assaggiare roba nuova ma bisogna anche avere un occhio all'economia dei gettoni.
Altra delusione mi è arrivata dall'Artic Sunstone del danese Amager Bryghus. American pale ale che conosco benissimo e che in bottiglia è davvero squisita. Diciamo che si è presentata al festival poco in forma.
Restando nelle terre nordiche segnalo una deliziosa Fatlagra Bourbon Stout di Grünerløkka Brygghus. Densa e massiccia, con note evidenti del passaggio in botte.
Restando in tema di mostri nera al banco della Polonia ho bevuto una delle migliori birre di questo festival, la Samiec Alfa di Browar Artezan, una mastodontica imperial stout di quasi 11 gradi che regala note di legno, vaniglia, cacao, tabacco e bourbon. Una bomba a mano!

La Olav, The Honeybear di Freigeist Bierkultur è una rievocazione dello stile tedesco molto in voga nel Medioevo, il braggot, che prevedeva l'uso di un misto di spezie e miele nella produzione della birra. In questo caso il risultato mi ha convinto a metà. Una birra molto dolce sorretta da un bel corpo e alcune note affumicate. Onestamente una pinta intera potrebbe stancarmi il palato, ma rientriamo nel campo dei gusti personali.

Il primo amore non si scorda mai e al banco Cantillon si cade sempre in piedi. Cuvée Saint-Gilloise memorabile, con una spiccata acidità che solo la mano di Jean Van Roy può dare ai lambic. Stesso discorso per la Lou Pepe Kriek, che entra nell'olimpo delle migliori bevute del festival.
Ho assaggiato molto altro, alcune birre che già conoscevo ed altre non meritevoli di menzione.
Si è bevuto benissimo a questo EurHop, la qualità era superiore a mio avviso rispetto all'anno passato. Se il trend è questo, il prossimo anno ci si diverte ancor di più!
E' stata una grande festa, un'occasione per incontrare amici, conoscere nuove persone e condividere bevute e impressioni. Tutte emozioni che sono un festival può darti!
Al prossimo anno!
Cheers!
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