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lunedì 1 febbraio 2016

Ægir / Beavertown - Bæver Double White IPA

Terzo appuntamento consecutivo con il Tasting Moment., non era mai capitato da quando ho introdotto questa rubrica che si occupa delle singole bevute!

La mitologia norrena ci svela che Ægir era uno degli dèi adorati dai vichinghi, era il dio del mare precisamente e soprattutto inventore della birra!
Narrano le leggende che egli era solito bere birra nella sua dimora assieme ad altri dèi appartenenti alle forze del cielo e della guerra, detti anche Æsir!

Nel villaggio norvegese chiamato Flåm, di 500 anime circa, nel 2011 parte l'avventura del microbirrificio Ægir, chiamato così appunto in onore dell'antica divinità adorata dalla gente di quei luoghi,
Al timone del birrificio con annesso brewpub vi è uno dei primi homebrewer norvegesi che iniziò a produrre birre già diversi anni prima, nel 2004.
Il birrificio affianca alle immancabili Ipa e sorelle anche diverse birre di stampo tedesco, come una marzen, una bock, una scelta abbastanza inusuale fra i birrifici scandinavi che spesso si specializzano sul trittico ipa-double ipa-imperial stout.
All'attivo ha anche una manciata di collaborazioni ed è di una di queste che voglio parlarvi, quella con il birrificio inglese Beavertown, con al timone Logan Plant, figlio del celeberrimo Robert Plant dei Led Zeppelin.

Il lavoro dei grafici della Beavertown, famosa anche per le sue etichette molto particolari, si mostra
sin da subito e va ad arricchire le asettiche e minimali labels dei norvegesi.
Uno scheletro con tanto di ascia in mano ed elmetto vichingo campeggia sopra alla scritta indicante il nome della birra, Bæver Double White IPA, che precisa anche lo stile che presumibilmente ci troveremo nel bicchiere!
Una white IPA, stile molto in voga qualche estate fa sopratutto negli States, ma portata alle potenze alcoliche consone alla scena scandinava.

Negli intenti vi è quello di unire lo stile delle witbier e quello appunto delle double/imperial ipa. Quando la versi nel bicchiere inizi a fare i conti con la realtà che è un bel pò diversa dalle intenzioni,
almeno ad un primo impatto visivo.
Il colore è tutt'altro che chiaro ma è dorato carico con sfumature arancio e una leggera velatura. La testa di schiuma è bianca, fine ma poco abbondante, di media persistenza. Il naso è molto gentile e presenta sfumature tutte a tinte luppolate, arancia amara, pompelmo, una nota erbacea e una suggestione di coriandolo. In sottofondo si scorge una nota lievemente acidula data dall'apporto del frumento utilizzato in ricetta.
In bocca si presenta con una base di crackers e cereali per poi svelare la sua vera anima, quella agrumata ed erbacea. Il corpo è abbastanza agevole e l'alcol è ben nascosto pur non essendo la facilità di bevuta uno dei punti forza di questa birra.
Quando prometti effetti speciali, con nomi e stili che uniscono differenti modi di fare birra, crei alte aspettative nel bevitore/acquirente. Poi di queste aspettative ne parla il bicchiere, unico in grado di dire la sua in maniera imprescindibile!
In questo caso resta una buona birra, piacevole e dissetante ma con un grande punto di domanda su cosa davvero volessero realizzare. 
Il bicchiere, sempre preciso e chiaro, stavolta è sembrato un pò confuso e distratto.
Cheers!

GIUDIZIO PERSONALE




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